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Lavorare sì, ma a che prezzo?

Psicologia del lavoro, Sicurezza sul lavoro

Ieri mattina navigando qua e là sul web, mi sono imbattuta in diversi articoli su una vicenda di pochi giorni fa che ha dell’assurdo. Riguarda la denuncia di un ex pilota di una famosa compagnia aerea low cost che, coraggio in mano pur rimanendo nell’anonimato, ha accusato l’azienda per la quale lavorava di adottare politiche aziendali alquanto discutibili: ottimizzare al massimo i guadagni a discapito della vita dei suoi passeggeri e dei suoi dipendenti.

Due i punti chiave della questione:

  1. Decollare con una quantità di carburante minore rispetto a quella prevista, adottando anche alcuni comportamenti in volo finalizzati al risparmio;
  2. Imporre ai piloti ritmi di lavoro duri e stressanti costringendoli a poche ore di sonno tra un volo e l’altro (clicca qui per leggere uno degli articoli).

Mi è così ritornato alla mente il “Documento di consenso sullo stress” commissionato dalla SIMLII (Cesana et al, 2006) e citato anche ne “La valutazione dello stress lavoro correlato. Proposta metodologica” dell’ex ISPESL del 2010, nel quale si legge che “Alcuni anni fa autorevoli studiosi inglesi (University of Manchester, 1987) hanno cercato di stilare una classifica delle occupazioni maggiormente stressanti assegnando un punteggio da 0 a 10. In base a tale studio le attività lavorative che superavano il valore di 6 erano: Minatori (8.3), Agenti di polizia (7.7), Agenti di custodia carceraria (7.5), Lavoratori delle costruzioni (7.5), Piloti di aereo (7.5), Giornalisti (7.5), Dentisti (7.3), Attori (7.2), Medici (6.8), Operatori radio-televisivi (6.8),Infermieri (6.5), Operatori cinematografici (6.5), Vigili del fuoco (6.3), Addetti alle ambulanze (6.3), Musicisti (6.3), Insegnanti (6.2), Assistenti sociali (6.0), Gestori del personale (6.0)”.

A questa lista nel tempo ne sono state aggiunte delle altre, ma comunque si evince come la categoria dei piloti di aereo rientri tra quelle più a rischio in fatto di stress lavoro-correlato e pertanto dovrebbe essere ancor più tutelata rispetto alle altre categorie professionali meno a rischio.
Invece ci troviamo ancora oggi nel 2013 – se confermate queste pesanti affermazioni – dinanzi a scelte inaccettabili da parte del management di un’azienda orientata solo ai guadagni sfruttando i suoi dipendenti, anziché investire su di essi; dimenticando inoltre che il successo di un’azienda si costruisce grazie all’operato delle sue risorse umane.

Sembra essere ritornati indietro nel tempo, a cavallo tra ‘800 e ‘900 durante il periodo che ha visto protagonista F.W.Taylor, ingegnere ed imprenditore statunitense, con i suoi studi, le sue teorie ed il modello dello Scientific Management. Il suo pensiero è stato più volte criticato e contestato perché nella sua concezione:

  1. Era l’operaio a doversi adattare ai ritmi del lavoro e non quest’ultimo alle sue esigenze;
  2. L’operaio non poteva scegliere tempi e modi per svolgere il suo lavoro, anzi gli studi di Taylor erano finalizzati ad eliminare i tempi morti durante l’attività lavorativa facendoli diventare produttivi.

Sarà forse questa la strategia della compagnia aerea in tempo di crisi? Massimo guadagno col minimo spreco, non curante delle possibili conseguenze dannose?
Ricordiamoci però che Taylor (1856-1915) è vissuto nella seconda metà dell’800. Da allora sono stati fatti passi da gigante sia nel campo della sicurezza sul lavoro che in materia di tutela della salute dei lavoratori ed è inaccettabile che accadano ancore vicende di questo tipo!

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