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Linee guida per lo psicologo giuridico in ambito civile e penale

Psicologia giuridica

Nel 1999 sono state approvate, ed aggiornate dieci anni dopo, le linee guida dell’AIPG – Associazione Italiana di Psicologia Giuridica – riguardo l’attività e la deontologia professionale dello psicologo in ambito giuridico sia civile che penale.

LINEE GUIDA PER LO PSICOLOGO GIURIDICO IN AMBITO CIVILE E PENALE

Aggiornamento delle Linee Guida approvato dal Consiglio Direttivo dell’Associazione Italiana di Psicologia Giuridica a Roma il 27 febbraio 2009 e dalla Assemblea dell’Associazione Italiana di Psicologia Giuridica a Roma il 20 aprile 2009.

Il presente aggiornamento delle Linee Guida per lo Psicologo Giuridico del 1999, unico protocollo deontologico di tipo generale in psicologia giuridica, è la conseguenza delle modificazioni legislative dell’ultimo decennio, ma anche la necessità di seguire le indicazioni dello sviluppo della specifica ricerca scientifica.

PREAMBOLO

Le seguenti disposizioni consistono in linee guida cui attenersi nell’esercizio dell’attività psicologica in ambito giuridico; esse non sono sostitutive del Codice Deontologico degli Psicologi Italiani in quanto ogni psicologo è tenuto ad osservarne le norme a prescindere dal proprio campo specifico di intervento.

ARTICOLO 1

Lo psicologo giuridico è consapevole della responsabilità che deriva dal fatto che nell’esercizio della sua professione può incidere significativamente – attraverso i propri giudizi espressi agli operatori forensi ed alla magistratura – sulla salute, sullo stato psicologico, sul patrimonio e sulla libertà delle persone coinvolte. Pertanto, presta particolare attenzione alle peculiarità normative, organizzative, sociali e personali del contesto giudiziario ed inibisce l’uso non appropriato delle proprie opinioni e della propria attività.

ARTICOLO 2

Lo psicologo giuridico non abusa della fiducia e della dipendenza degli utenti destinatari delle sue prestazioni che a causa del processo sono particolarmente vulnerabili dalla propria attività. Per questo, lo psicologo si rende responsabile dei propri atti professionali e delle loro prevedibili dirette conseguenze (art. 3 C.D.).

ARTICOLO 3

Lo psicologo giuridico, vista la particolare autorità del giudicato cui contribuisce con la propria prestazione, mantiene un livello di preparazione professionale adeguato, aggiornandosi continuamente negli ambiti in cui opera, in particolare per quanto riguarda i contenuti della psicologia giuridica, della psicologia clinica e dell’età evolutiva (art. 6 L.G.A.M.). Non accetta di offrire prestazioni su argomenti in cui non sia preparato e si adopera affinché i quesiti gli siano formulati in modo che egli possa correttamente rispondere (Cap. 8 L.G.A.M.)

ARTICOLO 4

Lo psicologo giuridico nei rapporti con i magistrati, gli avvocati e le parti mantiene la propria autonomia scientifica e professionale. Sia pure tenendo conto che norme giuridiche regolano il mandato ricevuto dalla magistratura, dalle parti o dai loro legali, non consente di essere ostacolato nella scelta di metodi, tecniche, strumenti psicologici, nonché nella loro utilizzazione (art. 6 C.D.). Nel rispondere al quesito peritale tiene presente che il suo scopo è quello di fornire chiarificazioni al giudice senza assumersi responsabilità decisionali né tendere alla conferma di opinioni preconcette. Egli non può e non deve considerarsi o essere considerato sostituto del giudice. Nelle sue relazioni orali e scritte evita di utilizzare un linguaggio eccessivamente o inutilmente specialistico (art. 10 L.G.T..) In esse mantiene separati l’accertamento dei fatti, di cui non dovrà occuparsi essendo valutazioni specifiche di tipo giudiziario-investigativo, dalla valutazione psicologica delle vicende processuali, sulle quali dovrà esprimere pareri e giudizi professionali argomentati scientificamente (Cap. 6 L.G.A.M.; Cap. D L.G.T.).

ARTICOLO 5

Lo psicologo giuridico presenta all’avente diritto i risultati del suo lavoro, rendendo esplicito il quadro teorico di riferimento e le tecniche utilizzate (art. 1 C.N.), così da permettere un’effettiva valutazione e critica relativamente all’interpretazione dei risultati. Egli, se è richiesto, discute con il giudice i suggerimenti indicati e le possibili modalità attuative.

ARTICOLO 6

Nell’espletamento delle sue funzioni lo psicologo giuridico utilizza metodologie scientificamente affidabili (art. 5 C.D.; art. 1 C.N.). Nei processi per l’affidamento dei figli la tecnica peritale è improntata quanto più possibile al rilevamento di elementi provenienti sia dai soggetti stessi sia dall’osservazione dell’interazione dei soggetti tra di loro.

ARTICOLO 7

Lo psicologo giuridico valuta attentamente il grado di validità e di attendibilità di informazioni, dati e fonti su cui basa le conclusioni raggiunte (art. 7 C.D.; art. 1 C.N.). Rende espliciti i modelli teorici di riferimento utilizzati (art. 1 C.N.) e, all’occorrenza, vaglia ed espone ipotesi interpretative alternative (art. 5 C.N.; Cap 7 L.G.A.M.) esplicitando i limiti dei propri risultati (art. 7 C.D.). Evita altresì di esprimere opinioni personali non suffragate dalla letteratura scientifica di riferimento.

ARTICOLO 8

Lo psicologo giuridico esprime valutazioni e giudizi professionali solo se fondati sulla conoscenza professionale diretta, ovvero su documentazione adeguata e attendibile. Nei procedimenti che coinvolgono un minore è da considerare deontologicamente e scientificamente scorretto esprimere un parere sul minore senza averlo esaminato (art. 3/3 C.N.) (artt. 3/1, 3/2 C.N.).

ARTICOLO 9

Lo psicologo giuridico si impegna a segnalare alle autorità competenti l’esercizio abusivo di attività psicologiche svolte nell’ambito della giustizia penale e civile da chiunque non rispetti i limiti delle sue proprie competenze professionali (art. 8 C.D.)

ARTICOLO 10

Lo psicologo giuridico agisce sulla base del consenso informato da parte del cliente/utente. In caso di intervento individuale o di gruppo, è tenuto ad informare nella fase iniziale circa le regole che governano tale intervento (art. 14 C.D.; art. 8 L.G.T.).
Qualora il mandato gli sia stato conferito da persona diversa dal soggetto esaminato o trattato, per esempio da un magistrato, lo psicologo chiarisce al soggetto le caratteristiche del proprio operato. L’esperto in psicologia giuridica è tenuto al segreto professionale (art. 11 C.D.) ma è altresì tenuto a comunicare al soggetto valutato o trattato i limiti della segretezza qualora il mandante sia un magistrato o egli adempia ad un dovere (per es. trattamento psicoterapeutico in carcere) (art. 24 C.D.).

ARTICOLO 11

Stante il contesto in cui opera, lo psicologo giuridico ha particolare cura nel redigere e conservare appunti, note, scritti o registrazioni di qualsiasi genere sotto qualsiasi forma che riguardino il rapporto col soggetto (art. 17 C.D.).
Nell’ambito penale, nelle perizie in caso di ipotesi di abuso e/o maltrattamento di minore, egli ricorre, ove possibile, alla videoregistrazione o alla audioregistrazione delle attività svolte. Tale materiale deve essere posto a disposizione delle parti e del magistrato (art. 4 C.N.; art. 3 L.G.A.M.).

ARTICOLO 12

Lo psicologo giuridico che opera nel processo, proprio per la natura conflittuale delle parti in esso, è particolarmente tenuto ad ispirare la propria condotta al principio del rispetto e della lealtà (art. 33 C.D.). Nei rapporti con i colleghi, durante le operazioni peritali o comunque collegiali, lo psicologo è tenuto ad osservare un comportamento leale, mantenendo la propria autonomia scientifica, culturale e professionale (art. 6/1 C.D.) pur prendendo in considerazione interpretazioni dei dati diverse dalle proprie (art. 7 C.D.; art. 5 C.N.), anche per il confronto con i consulenti di parte. Ove previsto dalla legge, concerta insieme ai colleghi tempi e metodi per il lavoro comune, manifesta con lealtà il proprio dissenso, critica, ove lo ritenga necessario, i giudizi elaborati degli altri colleghi, nel rispetto della loro dignità e fondandosi soltanto su argomentazioni di carattere scientifico e professionale evitando nel modo più assoluto critiche rivolte alla persona (art. 36 C.D.).

ARTICOLO 13

I consulenti di parte mantengono la propria autonomia concettuale e professionale rispetto al loro cliente. Il loro operato consiste nell’adoperarsi affinché i consulenti di ufficio e il consulente dell’altra parte rispettino metodologie corrette ed esprimano giudizi scientificamente fondati.

ARTICOLO 14

Lo psicologo giuridico rende espliciti al minore gli scopi del colloquio curando che ciò non influenzi le sue risposte, tenendo conto della sua età e della sua capacità di comprensione, evitando per quanto possibile di attribuirgli la responsabilità per ciò che riguarda il procedimento e gli eventuali sviluppi (art. 8 C.N.). Nella comunicazione col minore garantisce che l’incontro avvenga in tempi, modi e luoghi tali da assicurare la serenità del minore e la spontaneità della comunicazione (art. 2 L.G.A.M.); evitando, in particolare, il ricorso a domande suggestive o implicative che diano per scontata la sussistenza del fatto reato oggetto delle indagini (art. 6 C.N.; art. 3 L.G.A.M.).

ARTICOLO 15

I colloqui col minore devono tener conto che egli è già sottoposto allo stress che ha causato la vertenza giudiziaria. Nel caso di pluralità di esperti, è opportuno favorire la concentrazione dei colloqui in modo da minimizzare lo stress che la ripetizione dei colloqui può causare al minore (art. 7 C.N.; artt. 2, 3 L.G.A.M.).

ARTICOLO 16

I ruoli dell’esperto nel procedimento penale e dello psicoterapeuta sono incompatibili (art.26 C.D.; art. 10 C.N.; Cap. 5 L.G.A.M.).
L’alleanza terapeutica, che è la caratteristica relazionale che domina la realtà psicoterapeutica, è incompatibile con il ruolo che il perito e il consulente tecnico devono mantenere nel processo. Per questo, chi ha o abbia avuto in psicoterapia una delle parti del processo o un bambino di cui si tratta nel processo o un suo parente, o abbia altre implicazioni che potrebbero comprometterne l’obiettività (art. 26/2, art. 28/1 C.D.) si astiene dall’assumere ruoli di carattere formale. Lo psicologo che esercita un ruolo peritale non svolge nel contempo nei confronti delle persone diagnosticate attività diverse come, per esempio, quelle di mediazione o di psicoterapia. Egli, con il consenso dell’avente diritto, potrà semmai, in quanto testimone, offrire il suo contributo agli accertamenti processuali (art. 12 C.D.). Durante il corso della perizia o consulenza, lo psicologo giuridico non può accettare di incontrare come cliente per una terapia nessuno di coloro che sono sottoposti nel processo a valutazione diagnostica (art. 10 C.N.).

ARTICOLO 17

Nelle valutazioni riguardanti l’affidamento dei figli, lo psicologo giuridico valuta non solo il bambino, i genitori e i contributi che questi psicologicamente possono offrire ai figli, ma anche il gruppo sociale e l’ambiente in cui eventualmente si troverebbe a vivere.
Nel vagliare le preferenze del figlio, tenuto conto del suo livello di maturazione, particolare attenzione dovrebbe porsi circa il significato delle affermazioni e l’eventuale l’influenza esercitata su di lui da figure significative parentali e genitoriali, sia naturali che acquisite.

Sono indicati i riferimenti al “Codice Deontologico degli Psicologi” (C.D.), alle “Linee Guida per le perizie in caso di abuso sui minori” dell’Ordine degli Psicologi del Lazio (L.G.A.M.), alle “Linee Guida per l’utilizzo dei test psicologici in ambito forense” dell’Ordine degli Psicologi del Lazio (L.G.T.) e alla “Carta di Noto” (C.N.).

fonte: www.aipgitalia.org